Chiara Ciavolich e la rustica maestosità del Trebbiano d’Abruzzo Fosso Cancelli

26 Aprile 2021

AUTORE

Burton Anderson

Burton Anderson è uno scrittore americano originario del Minnesota, vive in Italia e scrive di vino, cibo e viaggi.
Nei primi anni '80 pubblica "The Wines & Winemakers of Italy" , libro che ha reso celebre il made in Italy enoico fuori dai confini nazionali. Burton ha dato un contributo notevole alla divulgazione del vino italiano nel mondo facendone conoscere l'originalità, le potenzialità e le eccellenze territoriali. E' inoltre l'ex direttore dell'International Herald Tribune a Parigi. Il New York Times lo ha definito "la massima autorità sui vini italiani in lingua inglese".

Chiara Ciavolich e la rustica maestosità del Trebbiano d’Abruzzo Fosso Cancelli

In un’improvvisata ma avvincente video intervista con Chiara Ciavolich, ci siamo lanciati su degli argomenti apparentemente disconnessi: la questione dell’identità dei vigneti e dei territori (vedi cru, terroirs, menzioni geografiche aggiuntive – in breve MGA – ecc.) e l’ingarbugliata matassa che riunisce vitigni e vini conosciuti come Trebbiano.

Chiara Ciavolich, come sappiamo, produce una gamma ammirevole di vini da varietà rigorosamente autoctone, tra cui lo splendido Trebbiano d’Abruzzo Fosso Cancelli. È inoltre una sostenitrice del movimento che propone la distinzione dei vini e altri prodotti del territorio di Loreto Aprutino, un luogo davvero speciale incastonato nelle pittoresche alture tra gli Appennini e l’Adriatico.

Chiara non è certo la sola a elogiare le qualità dei vigneti locali situati su terreni argillosi ricchi di minerali a 200-300 metri di altitudine, climatizzati dal gioco delle correnti d’aria tra montagna e mare. Tantomeno si è accontentata di coltivare solo i tradizionali Trebbiano e Montepulciano, ma si è dedicata anche alle varietà riscoperte come Pecorino, Passerina e Cococciola. I suoi vini hanno il potenziale per diventare ancora più grandi continuando sulla strada intrapresa, e di questo è ben consapevole.

Quella che viene spesso definita la famiglia dei vitigni Trebbiano – in modo fuorviante dato che le tipologie non sono affatto tutte correlate – rappresenta circa un terzo della produzione di vino bianco in Italia ed è la base o un componente di oltre 80 vini DOC.  Tuttavia la confusione regna sovrana. Nonostante il nome, alcune varietà non sono considerate Trebbiano (prendi il Trebbiano di Soave e il Trebbiano di Lugana, in realtà nella famiglia del Verdicchio) e altre non chiamate Trebbiano (il Procanico dell’Umbria per esempio) in realtà lo sono. Le varietà più diffuse sono il Trebbiano Toscano e il Trebbiano Romagnolo, note più per l’alta produttività e conseguentemente vini piuttosto anonimi, che per le eccezioni sempre più numerose, tavolta sorprendenti, ai quali spero di dedicare un futuro articolo.

Poi c’è il Trebbiano d’Abruzzo (ufficialmente Trebbiano Abruzzese) che ho incontrato per la prima volta mezzo secolo fa nei vini di Valentini, la cui tenuta a Loreto Aprutino è adiacente a quella di Ciavolich. Quel vino, che ho definito allora, anche se in modo un po’ sfacciato, come “il più grande Trebbiano del mondo”, è stato spesso valutato da distinti professionisti come il miglior vino bianco d’Italia. Edoardo Valentini, detto anche il “Signore delle vigne”, sosteneva di avere un clone unico di Trebbiano. Comunque sia, in quel vino ho trovato una rustica maestosità che ho sempre considerato unica e inimitabile.

Eppure, ho percepito una certa titubanza nel sostenere il riconoscimento ufficiale di Loreto Aprutino come una zona vinicola distinta tra le DOC dell’Abruzzo. A questo proposito le ho ricordato che cinquant’anni fa non c’era un solo vigneto di Barolo riconosciuto come Cru (o MGA)  e che quarant’anni fa non esisteva la DOC Bolgheri ma solo il Sassicaia. Avrei potuto continuare, ma il tempo stringeva e francamente volevo parlare del Trebbiano.

Chiara Ciavolich questo lo sa (e non solo perché le ho espresso la mia opinione) ma anzi, si sente spronata a creare il suo Trebbiano d’Abruzzo Fosso Cancelli senza alcun senso di invidia o rivalità o desiderio di imitare i vini del suo illustre vicino. “Francesco Paolo Valentini [il figlio di Edoardo] è un amico e ci rispettiamo a vicenda ma, naturalmente, abbiamo modi un po’ diversi di fare i vini”.

È vero, ma nell’assaggiare l’annata 2018 del Trebbiano Fosso Cancelli, ho notato tratti che evocavano ricordi inconfondibili: il color oro paglierino intenso, i profumi di erbe e fiori selvatici, i sapori ampi, ricchi e suadenti, ma anche freschi ed energici con un finale persistente. Con il tempo – la prima annata è stata il 2015 – il vino di Chiara guadagnerà in statura, com’è stato per il Trebbiano di Valentini tanti anni fa. MA non potranno mai essere uguali, né vorrei che lo fossero, grazie a quei dettagli infinitesimali che rendono qualsiasi vino fedele al suo terroir diverso da qualsiasi altro. E nonostante questo hanno una rustica maestosità che li accomuna e che sembra riecheggiare l’anima di Loreto Aprutino.

ENGLISH

Chiara Ciavolich and the rustic majesty of Trebbiano d’Abruzzo Fosso Cancelli

A hasty but stimulating video interview with Chiara Ciavolich prompted me to focus on two boundless topics: the evolving question of identity of local vineyards (touching on the likes of crus, terroirs, MGAs, etc.) and the mystifyingly miscellaneous array of vines and wines known as Trebbiano.

Chiara Ciavolich, as we know, produces an admirable range of wines from strictly native varieties, including a splendid Trebbiano d’Abruzzo from the vineyards of Fosso Cancelli. She is also an advocate of a movement to recognize the merit of the wines (and olive oil and other products) of Loreto Aprutino, a truly special place set in the picturesque rises between the Apennines and the Adriatic.

Chiara is hardly alone in eulogizing the qualities of local vineyards situated in mineral-rich clay soils at 200 to 300 meters of altitude favored by a climate that benefits from the play of air currents between mountain and sea. She relishes the advantages of working not only with the traditional Trebbiano and Montepulciano, but also with the rediscovered varieties of Pecorino, Passerina and Cococciola. She knows well that overall the wines have potential to become even grander than they are today.

And yet, I sensed a certain reluctance in advocating the official recognition of Loreto Aprutino as a distinct wine zone in the Abruzzo DOC scheme. I reminded her that fifty years ago not a single vineyard of Barolo was recognized as a cru, or what is now known as MGA. Forty years ago there was no Bolgheri DOC but only Sassicaia. I could have gone on, but time was running short and I wanted to talk about Trebbiano.

What is often called the Trebbiano family of vines—misleadingly since the types are by no means all related—accounts for about a third of all the white wine made in Italy and is either the base or a component of more than 80 DOC wines. But confusion reigns, since some varieties that carry the name are not considered Trebbiano (take Trebbiano di Soave and Trebbiano di Lugana, actually in the Verdicchio family) and some not called Trebbiano (Umbria’s Procanico for one) that actually are. The most diffused varieties are Trebbiano Toscano and Trebbiano Romagnolo, noted for ages as prolific sources of wines that are often rather bland and neutral, though there are ever more numerous  exceptions, some conspicuous, and I hope to dwell a bit more on that some day.

Then there’s Trebbiano d’Abruzzo (officially Trebbiano Abruzzese) which I first encountered a half century ago in wines of Valentini, whose estate lies adjacent to that of Ciavolich at Loreto Aprutino. That wine, which I referred to then, albeit tongue in cheek, as “the world’s greatest Trebbiano,” has often been rated by serious raters as Italy’s finest white wine. Edoardo Valentini, who was known as “Lord of the vines,” claimed to have a unique clone of Trebbiano. Whatever the case, I found in that wine a rustic majesty that I considered unique and inimitable.

Chiara Ciavolich knows this (and not just because I expressed my views) and takes it all in stride, crafting her Trebbiano d’Abruzzo Fosso Cancelli with no sense of envy or rivalry or wish to imitate the wines of her illustrious neighbor. “Francesco Paolo Valentini [Edoardo’s son] is a friend and we respect each other but, of course, we have somewhat different ways of making wines.”

True enough, and yet in tastings of the 2018 vintage of Trebbiano Fosso Cancelli, I noted traits that evoked fond memories: the deep straw golden hue, the scents of wild flowers and herbs, the ample flavors, rich and smooth yet fresh and energetic through a lingering finish. With time—the first vintage was 2015—the wine will gain in stature, as did the long ago Trebbiano of Valentini. But the two could never be quite the same, nor would I want them to be, thanks to those infinitesimal details that set any wine true to its terroir apart from any other. Yet what they do have in common is a rustic majesty that seems to echo the anima of Loreto Aprutino.

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