2 Agosto 2021
L’estate addosso
La Romagna. La California italiana o forse la Florida italiana. Se lo chiedessi ad un qualsiasi romagnolo gonfierebbe un po’ il petto e ti risponderebbe che al massimo è il contrario e che la California o la Florida possono forse essere la Romagna americana.
East Coast Italiana, con quel mare calmo e accogliente che non ti chiede nulla, e ti invita a distenderti sul lettino e ordinare qualcosa da bere e da mangiare. Un’estate continua che ti entra e ti rimane dentro e che non vuole finire mai, strappata con forza alla primavera e prolungata quanto più possibile, esorcizzando le tenebre invernali con luci strobo e danze in spiaggia.
Lungi da me riproporre la solita cartolina di cui siamo un po’ tutti stanchi (o forse no), di una Romagna solo rivierasca, con i pedalò, i risciò, le discoteche e i bagnini con le turiste tedesche. Usciamo dal cliché della Romagna solo riviera e battigia. Voglio parlare di una Romagna, se non proprio ambiziosa (perché alla fine di indole tendiamo a non dare un’importanza decisiva a nulla), ma una Romagna quanto meno irrequieta; un’irrequietezza sospinta da un mare troppo calmo, in contrasto con la vita pulsante della riviera e da una nostalgia continua di qualcosa che forse non c’è nemmeno mai stato, che sale nell’entroterra, per le colline romagnole, che da sempre hanno dato rifugio e conforto a sognatori, briganti e anarchici.
Quello di cui voglio parlare oggi è di questa Romagna, satrapia della Romagna immaginario ideale di tutti, avamposto per definizione, ritagliata tra mare e collina “con un piede in vigna e uno sull’Adriatico”.
La realtà di cui voglio parlare è Enio Ottaviani o più semplicemente quando si parla tra noi romagnoli “si va’ da Ottaviani?”, beviamo un “Ottaviani?”.
Ad oggi l’azienda vitivinicola Enio Ottaviani è una realtà già consolidata nonostante sia solo dal 2007 che esiste nella forma che conosciamo.
Tutto inizia con Enio, a San Clemente di Rimini, e arriva ad oggi con i suoi quattro nipoti e l’unione delle famiglie Lorenzi e Tonelli. Un’azienda familiare per definizione, con Davide Lorenzi il Winemaker, responsabile sia della vigna che della cantina, Milena Tonelli responsabile ufficio amministrativo e hospitality, Marco Tonelli che si occupa di logistica e consegne, Massimo Lorenzi direttore commerciale Italia ed estero. 12 ettari vitati con vitigni che da sempre hanno avuto diritto di cittadinanza in Romagna: Sangiovese, Pagadebit, Rebola, insieme a Chardonnay, Merlot e Cabernet Sauvignon. La cantina è rimasta immutata negli anni e custodisce tutto il sapere e gli insegnamenti di Enio. Troviamo il cemento per quanto riguarda la fermentazione e la macerazione, e tanti legni differenti per l’affinamento.
Di nuova costruzione invece è l’avveniristica sede destinata alla vendita diretta, uffici e ospitalità. Un palazzo di vetro e acciaio, tutto luce e trasparenze, come trasparente è l’animo di Davide con cui chiacchiero assaggiando le varie etichette.
Tante parole chiave mi giungono all’orecchio dalla voce di Davide: essenzialità, purezza, pulizia, condivisione, ospitalità.
E non sbaglia Davide. Dosa le parole, senza voler dimostrare nulla di più di quello che lui e la realtà Ottaviani rappresentano. Iniziamo ad assaggiare: i vini sono essenziali, non dimostrativi, salini. Ritrovo la purezza del gesto e la pulizia che Davide ricerca pedissequamente. Moderni come beva, magri e verticali.
Nel retro etichetta campeggia una dicitura chiara che sottintende la vera Mission aziendale: “We make Wines for Friends”; ed eccola qui la generosità e il gesto di condivisione che scaturisce senza troppa difficoltà da queste terre. Parlando con Davide e assaggiando i vini insieme, capisco la filosofia di questa azienda. Le persone, come i vini, aggiungono posto, ti lasciano entrare e ti accolgono, si siedono accanto a te senza prendersi la scena e senza giudicare e ti regalano un bene preziosissimo, il tempo condiviso. Ed ecco la nuova sede che riflette questo spirito, pronta ad ospitare tutti: parenti, amici, conoscenti, esperti, critici e persone che godono nel bere senza sofismi e complicazioni.
Due vini bianchi aprono la sequenza di assaggio, entrambi con tappo Stelvin. È una scelta che apprezzo perché moderna, coraggiosa e funzionale per vini giovani, gioviali, da bere nell’immediatezza senza attenderli troppo quindi sia benedetto il tappo a vite:
Strati Romagna Pagadebit DOP 2020: Pagadebit in purezza. Vigna a ridosso dell’alveo del fiume, su un terreno franco-argilloso ricco di ciottoli. Fermentazione in cemento e affinamento in cemento. Un vino fresco, lucente, sincero per definizione. Di facile beva che disseta e rinfranca.
Rebola Colli di Rimini 2020: la Rebola, vitigno che proprio nel riminese trova il suo habitat naturale. Esiste anche un’associazione per la salvaguardia e la promozione di questo vitigno. Due parcelle differenti una nordista l’altra sudista. Anche in questo caso il cemento sia per quanto riguarda la fermentazione sia per quanto riguarda l’affinamento. Un vino gastronomico, lungo e appagante.
Caciara Romagna DOP Sangiovese Superiore 2019. Una felice espressione di Sangiovese di Romagna. Vino scattante e succoso. Una fermentazione veloce ed in parte vera e propria criomacerazione, per favorire l’estrazione. Per l’affinamento il legno grande per il 40% della massa per 6 mesi.
Un Sangiovese quotidiano, teso e nervoso, meno “sorvegliato”, con sentori carnosi che virano ad un’intrigante affumicatura.
Il classico vino che ti strappa un sorriso chiudendo con una splendida salinità che pulisce e ti riporta il naso e la bocca al calice per un ulteriore sorso.
Dado Romagna Sangiovese 2017. Un vino nato nel 2016 per i 50 anni di attività di Enio Ottaviani. Un vino che parte da una selezione minuziosa di 4 parcelle differenti.
San Clemente che dona struttura, Saludecio con la vigna vecchia, a donare dettaglio e frutta, Gemmano a donare balsamicità e la parcella di casa da cui viene tratto anche il Caciara, a donare mineralità. Un anno di cemento e a seguire 8 mesi in botti di legno da 30HL. Il vino più complesso della batteria, che regala l’evoluzione nel bicchiere più interessante sulla lunga distanza.
Un mosaico di vigne e sensazioni, tra sentori varietali di frutta e fiori scuri, un profilo mentolato e silvestre, fino ad un terziario salato che profuma di mare.
Merlot Rubicone IGP 2017. Una delle etichette più iconiche della Enio Ottaviani. Un Merlot che ti fa chiedere se Bolgheri – in costiera Toscana – non possa essere riprodotta anche in zona riviera romagnola a pochi passi dalla spiaggia. Molto varietale, con una tensione pulsante, vero fil rouge comune a tutti i vini. Criomacerazione per 6-8 gg in cemento e 5-6 mesi in legno grande per l’affinamento.
Torna in cemento prima dell’imbottigliamento con una sosta in bottiglia di 8 mesi prima della messa in commercio. Un vino di grande fattura e seta, ricco di dettagli, con salite e discese repentine, come le colline riminesi. Finale appagante e pieno.
Ringrazio Davide del suo tempo. Percepisco che scalpita e che abbia fretta. Mi dice che deve lasciarmi perché lo attendono un centinaio di persone in azienda, da sfamare, dissetare e farli stare bene.
Lo vedo che gli dispiace salutarmi e allo stesso tempo vedo quanto sia felice di buttarsi a capofitto nella serata che sta per iniziare. E penso che tutto stia qui. In questo commiato che profuma già di nostalgia, per quello appena vissuto e condiviso, insieme ad una smania irrequieta per quello che sta per arrivare. Un sentimento in continuo divenire, come le onde del mare, tra nostalgia e voglia di ricominciare. Ancora una volta.
Per tutta l’estate, che in fondo è uno stato dell’anima, o una stagione della nostra vita, e che l’azienda Enio Ottaviani sta vivendo in questo momento storico, in cui “inizio” e “fine” sfumano di significato in un bicchiere di vino sempre colmo.